Imperi
di polvere,
romanzo di Claudio Mauri, edito da Solfanelli, è stata la mia ultima lettura. A
partire dal prologo, come in una lenta ripresa cinematografica, vediamo
l’esercito americano avanzare “gigantesco Golem, babelico mosaico di genti
diverse” e occupare la città eterna, mentre l’armata del Reich arranca verso nord
schiacciata dallo spiegamento dei mezzi nemici. È da allora — questo il
messaggio di Mauri, instancabile ricercatore di documenti autentici anche se
scomodi — che simbolicamente nasce la civiltà globalizzata, perché i poteri
forti attraverso la Cia operano da subito per imporre l’egemonia culturale
degli States e linguistica degli inglesi. È così che si dominano cuore e anima
di popoli interi, spingendoli verso una cultura che non ha più il senso del
Sacro, in nulla. La catastrofe appare inevitabile, il Nuovo Mondo inghiottirà
il Vecchio, ma è anch’esso, forse, destinato a perire.
Il romanzo che ho finito in un giorno e
una notte perché non riuscivo a staccare gli occhi dalle pagine — a me lo
scrittore Mauri ha fatto quest'effetto — è un lavoro potente, coraggioso a cui
augurare lunga vita e fortuna. Perché cosa si chiede ad un libro?
Coinvolgimento, una scrittura fluida, sicura, personaggi ben tratteggiati. Ma
anche profondità, emozioni, riflessioni. Valori. Tutto questo l’ho trovato nell’ultima
fatica di Claudio Mauri. Bello lo stile, che rivela una sedimentata “frequentazione”
con la nostra lingua italiana — ed è il caso di dire Finalmente! In questo
panorama dolente di autori che esprimono attraverso il loro pressappochismo
paroliero l’adessità culturale priva di radici che li possiede.
Uno stile, dicevo, che sa aderire alle
scene diverse che si susseguono in capitoli sfalsati temporalmente. Si declina
infatti, in una gragnuola di parole taglienti e pochi verbi essenziali, come scabro e lapidario a dire situazioni terribili: “Nella luce spettrale di un
paesaggio cangiante e incerto, cadaveri insepolti, cani randagi scheletrici. In
bocca brandelli di carne umana. Passarono Argenta, Sant’Agata, altri paesi. Un
lungo riverbero tagliò la notte. La linea del fronte segnata da migliaia di
riflettori, muro di luce tra vincitori e vinti. Il monito cupo di artiglierie
lontane”; si fa stile più pieno e convulso, ma sempre dall’andamento
paratattico, in altri frangenti: “Il terreno gli mancò sotto ai piedi. Rotolò
lungo un pendio, sentì la carne martoriata dai rovi. Si fermò urtando con la
spalla il tronco di un albero. Stette immobile, il cuore che batteva alle
tempie, il respiro affannato. Nel buio quasi assoluto si toccò il viso, sentì
che era intriso di sangue, la tuta era lacera, quasi a brandelli.”
Stile sempre visivo, però, e capace di
improvvise distensioni liriche con squarci paesaggistici in cui ho ritrovato lo
scrittore del primo romanzo edito dalla Mursia, “La catena invisibile”,
purtroppo oggi introvabile, che mi aveva stregato: “Il mare era una distesa
immensa, il sole calante si copriva di nubi nere e un vento insidioso agitava
le acque. Le onde colpivano come schiaffi la prua della barca, la costa
appariva lontana, diademata dalle prime luci, irraggiungibile.”
Da sottolineare poi, stilisticamente
parlando, l’incipit del cap. XX su ragazzi intenti a penetrare in una scuola e
poi in fuga. In certi momenti qui la scrittura diventa onirica, surreale,
intrisa di magia e raggiunge le sue vette più alte. Il ritmo, dicevo, è serrato
e coinvolgente, c’è un uso scaltrito dei dialoghi, l'attenzione non viene mai
meno, anche se un minimo di conoscenza storica è auspicabile ci sia, nei
lettori. Ma anche se non ci dovesse essere, ci pensa lo scrittore a renderla
intellegibile e viva (la pagina dedicata a Piazza Loreto dopo la Liberazione è rivissuta
attraverso gli occhi di un protagonista), o a proporla in modo che non
travalichi mai o ingoi la vicenda narrata: quella di spie che si fronteggiano, le
une per creare in Europa una rete che ne salvaguardi le radici, la cultura, la
lingua e la storia, le altre per imporre un modello omologante e teso a
passivizzare i popoli.
Libro di spionaggio? Non solo, anche
d’amore e di amicizie, vere o tradite, di riscatti e contraddizioni nei personaggi
tratteggiati con mano sicura (valga per tutti il cameo di Oscar Tinnet con il
suo amore per gli animali e l'odio per gli uomini). Un romanzo coraggioso?
Forse. Un romanzo cinematografico? Sicuramente. (E sarebbe un film di successo.)
Di fantapolitica? Io lo trovo, ahimè, vero. Che poi è quello che solo gli
scrittori sanno fare. Trasmettere verità, intendo.
Mauri è un meticoloso ricercatore di documenti
autentici e occultati, accennavo prima. Anche di sole tracce che però hanno
un’evidenza di concretezza. Qui si parla solo di circostanze vere, quasi o del
tutto sconosciute. Andavano rivelate. Avrebbe potuto scrivere un saggio, ne ha
le competenze, ma ha preferito parlare anche al cuore del pubblico perché la
sola ragione non basta per colpire in modo totalizzante. Tutto vero dunque,
anche se i personaggi sono inventati e ci regalano una storia appassionante.
Ma quando la vicenda dei protagonisti si
opacizzerà nella memoria, rimarrà — e questo è il merito a mio avviso del libro,
che poi è il merito dei buoni libri — il ricordo fortissimo di una profonda
verità espressa, che squarcia un velo. Ed io già mi accorgo di ricomporre il
puzzle della nostra attualità in un modo diverso da ieri, e ne scopro la logica,
per quanto aberrante. Eppure. Ci sono alcune cose di Mauri scrittore appena
sussurrate, tali da sfuggire ai più, forse, che mi fanno pensare e sperare in
un’inversione di tendenza. Forse la catastrofe di questa nuova civiltà che
procede come un Titanic fuori controllo ci sarà. O c’è già stata, con la morte
dei fratelli Kennedy e il passaggio dai poteri dei Presidenti ai poteri forti
che condizionano le decisioni e sorti dell’umanità. O forse no. Nel prossimo
libro di Mauri lo scopriremo insieme e saremo, ne sono certa, tantissimi.
Lucia Vaccarella
Claudio Mauri
IMPERI DI POLVERE
Copertina di Vincenzo Bosica
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-3305-121-5]
Pagg. 168 - € 14,00
http://www.edizionisolfanelli.it/imperidipolvere.htm
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