Intervista al nipote, Luigi Gagliardi, che ne ha curato i diari negli anni del Regime
Fra i pochi che in Italia hanno denunciato durante il XX secolo, in modo deciso e documentato, i crimini e le stragi perpetrate in URSS vi è senza dubbio
Eugenio Corti (1921-2014), l’indimenticabile autore de “Il cavallo rosso”, morto il 5 febbraio scorso. Lo scrittore lombardo, riprendendo la testimonianza diretta del dissidente sovietico Vassili Grossman, rievocò per esempio l’uccisione, durante i lunghi anni della dominazione staliniana, di migliaia di comunisti italiani sia durante la guerra civile spagnola sia di quelli “rifugiatisi” in quegli anni nella “madre-patria” sovietica (cfr. Eugenio Corti,
L’epoca di Paolo VI, Marino Solfanelli editore, Chieti 1978).
UN ANARCHICO ABRUZZESE AL CONFINO FASCISTA
Da una vicenda biografica recentemente emersa, quella di Francesco Ippoliti (1865-1938), medico abruzzese, negli anni ‘30 confinato prima a Pantelleria poi a Lipari dal Regime per la sua attività, anche pubblicistica, di militanza anarchica, emerge la “mitezza” delle tanto denunciate prigioni del Regime, la quale cozza con l’esito di tortura e morte avuto dai nostri connazionali che, illudendosi di trovare “rifugio” dal fascismo in URSS, hanno spesso fatto lì una davvero gran brutta fine.
Dalla vita di Ippoliti, ricostruita per la prima volta dal nipote Luigi Gagliardi (cfr. Francesco Ippoliti. Diari di un confinato politico degli anni ’30, Solfanelli, Chieti 2014, pp. 85 – € 8,00), anch’egli medico e militante politico (è stato per un decennio segretario nazionale della Consulta per i problemi etico-religiosi di Alleanza Nazionale), si rilevano dati biografici e documentali che contribuiscono, in parte, a spiegare la dolorosa vicenda di quanti, come suo zio, per la loro ideologia hanno pagato un prezzo doloroso ma, qualitativamente e quantitativamente, non paragonabile a quanto sarebbe loro toccato se la rivoluzione che auspicavano avesse trionfato anche in Italia.
INTERVISTA AL PROF. GAGLIARDI
D. Chi era Francesco Ippoliti?
R. Era un generoso medico chirurgo di San Benedetto dei Marsi, frazione del comune di Pescìna (L’Aquila), chiamato da noi parenti e familiari lo “zio Francesco”. Permanentemente scapolo, affermava di non aver voluto mai metter su famiglia ha per non volerla coinvolgere nei guai e nei fastidi che le avrebbe provocato a causa delle sue idee e della sua attività politica. Anarchico convinto e battagliero, soprattutto per tale motivo aveva avuto noie con la giustizia anche prima del fascismo. Il quale fascismo gli aveva comminato in due occasioni due periodi di soggiorno obbligato a Pantelleria ed a Lipari ma, in verità, in entrambe le volte lo aveva raggiunto con provvedimenti di sospensione, di riduzione della pena e di richiamo al proprio domicilio in San Benedetto. Francesco Ippoliti era veramente uno spirito vivace ed indipendente. Medico appassionato, si era laureato in quella Napoli di fine ‘800 che per l’Abruzzo era, più che Roma, la meta dei giovani in cerca di sapere e, qualche volta, di fortuna.
L’AMICO E “MAESTRO” DI IGNAZIO SILONE
D. Ci parli dell’amicizia di suo Francesco Ippoliti con Ignazio Silone (1900-1978).
R. Il grande saggista e romanziere abruzzese, era compaesano di Pescìna, dove era nato il 1º maggio di 35 anni prima rispetto allo zio. Molto più giovane di lui, lo aveva come amico stimato e quasi come maestro. Infatti, Silone lo menziona in più di qualche sua pubblicazione riferendone lo spirito acuto e la disposizione al sacrificio.
D. Come nascono i Diari di un confinato politico degli anni ’30?
R. I due diari di Francesco Ippoliti che presento, intitolati il primo La deportazione. Sei mesi e mezzo di sofferenze fisiche e morali - 19 novembre 1926-6 giugno 1927 – Pantelleria e, il secondo La deportazione - Sette mesi e mezzo di dimora a Lipari - 30 settembre 1927 - 12 maggio 1928, sono sempre stati custoditi nel mio archivio. Ora ho deciso di riproporli, perché sono testi, scritti a penna su due fascicoli di carta comune, nei quali lo zio descrive le sue sofferenze con animo che sembra distaccato e con frasi proprie di un medico, ma che possono assumere un interesse ed un significato generale anche per comprendere equanimemente il periodo del Ventennio.
D. Ma Ippoliti non mostra disprezzo verso le autorità del Regime?
R. Salace nel manifestare critiche, lo zio in realtà non esprime parole irriguardose verso chicchessia. Non mancano, anzi sono frequenti, brani di delicata descrizione dei luoghi certamente incantevoli, come sono quelli delle isole del mediterraneo, oltre a veri e propri componimenti poetici. Da quanto scrive, poi, si capisce che egli non poteva essere così povero come le compiacenti informazioni della polizia e dei carabinieri lo descrivevano per fornire attenuanti alla sua indomita attività sovversiva.
D. Ci parli dell’attività di anarchico di Ippoliti.
Autore di numerosi manifesti, ballate e proclami coi quali incitava al riscatto i contadini del Fùcino, lo zio assumeva talvolta il ruolo del tribuno in veementi discorsi rivolti soprattutto ai lavoratori più poveri. La sua vena polemica emerge in poemetti di aspro e salace contenuto, basti ricordare il titolo di qualcuno di essi come I faccendieri o I farabutti, rivolti contro i ricchi e potenti dell’epoca. Più volte consigliere comunale, una sua costante era l’azione per l’autonomia di San Benedetto dal Comune di Pescìna secondo la tipica visione degli anarchici che ritengono di trovare nelle autonomie locali la via della libertà.
SULLA SCIA DE “L’ASINO” DI GUIDO PODRECCA
D. Quale fu la formazione politico-culturale ricevuta da questa figura così particolare di anarchico?
R. Se guardiamo alla sua libreria, che a me bambino sembrava davvero imponente, ricordo le collezioni rilegate in più volumi di vari periodici come la Rivista Popolare di Napoleone Colaianni (1847-1921), oppure quelle opere “enciclopedistiche” che ne denunciavano la formazione illuministica come il Dizionario di Cultura Generale in due grossi volumi editi da Vallardi. Non mancava poi l’aspetto anti-clericale, con la collezione dell’Asino, rivista satirica filo-socialista stampata a Roma dal 1892 al 1925 diretta da Guido Podrecca (1865-1923). Insomma, come non molti altri “idealisti” come lui, lo zio Francesco cercò durante tutta la sua vita una “salvezza terrena” che, inevitabilmente, non poteva che finire nel suo opposto. Cioè in quei “paradisi in terra” che, in URSS come in ogni dove si sia realizzato il comunismo, hanno piuttosto dato luogo a quella che, ebbe efficacemente a definire fin dal 1985 l’allora cardinal Ratzinger, è stata e rimane «la vergogna del nostro secolo».